Minicronaca a puntate del viaggio in Nepal. Nella puntata precedente: Quei volti incontrati per strada.
Festa a Waku
Giornata dedicata all’inaugurazione delle scuole di Waku, preceduta, sin dalla sera prima, da frenetici preparativi: palco, tribuna, impianto di amplificazione, vialetto per l’entrata sul piazzale delle autorità, ghirlande di fiori.
Un piccolo generatore di corrente con motore a scoppio, unica fonte di energia elettrica nel villaggio, alimenterà un impianto di amplificazione indispensabile per i discorsi dei diversi politici nepalesei che interverranno l’indomani nonché per la musica delle gare di ballo in programma per la serata. Ma ora che ne’ politici ne’ ballerini sono ancora arrivati, lo scoppiettante motore gira già, per alimentare una pialla elettrica in mano al legnaiuol… che… ”Nella chiusa bottega alla lucerna, s’affretta, e s’adopra di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba”. Impossibile non ricordare l’atmosfera della vigilia del dì di festa in questo villaggio.
In ogni cosa si respira l’aria della vigilia ed è palpabile la tensione che pervade il villaggio per la lunga festa in programma; oltre alla nostra colorata tendopoli nel tardo pomeriggio e nella serata se ne è installata un’altra, fatta di teloni di recupero, lamiere e montanti di bambù: è il luna park, con giochi, baretti, ristoranti…
Le scuole sono state realizzate dalla Monviso Nepal Foundation grazie al contributo dell’Associzione Progetto Nepal Mario Vallesi Onlus e di alcuni privati. Noi della Cecy Onlus ci siamo impegnati a portare dall’Italia una maglietta per ciascun studente.
Il programma dell’inaugurazione vera e propria incomincia solo nel pomeriggio; nella mattinata tuttavia avvengono alcune cose veramente interessanti.
La distribuzione delle magliette è un momento emozionante: molti ragazzini non osano neanche guardarci in faccia quando gli regaliamo la maglietta. Inquadrati quasi militarmente nell’ampio piazzale della scuola, battono le mani a tempo e gioiscono con un sorriso celato dalla mano quando gli sporgiamo il sacchettino con dentro la maglietta.
Nel frattempo parte l’animazione a cura di Edoardo: sculture di palloncini, giochi, canti, simpatia, entusiasmo sfavillante vincono la timidezza iniziale rendendo il problema della comunicazione insignificante (i ragazzi parlano un inglese stentatissimo o non lo parlano affatto).
Programma di visite tematiche della mattinata: health Post (piccolo ospedale), abitazione di una famiglia Raj, agricoltura e allevamenti locali (capre, bovini, asini). Ognuno si dirige verso ciò che maggiormente lo attrae accompagnato dalle nostre guide e traduttori cercando di cogliere qualcosa in più sullo stile di vita degli abitanti di etnia Raj.
La giornata passa veloce e varia fino all’inizio delle celebrazioni nel primo pomeriggio, quando con l’elicottero arrivano le autorità. Una piccola processione, nella quale veniamo anche noi instradati, si dirige, in mezzo a due ali di studenti che ci regalano ghirlande di fiori, verso il palco e… la tribuna d’onore, situata proprio sotto le casse amplificate.
Da questo momento in avanti è tutto un susseguirsi di discorsi, applausi, foto, e ancora discorsi, tutti rigorosamene in nepalese. Veniamo così a conoscere come si celebrano gli eventi ufficiali in Nepal e come i politici somministrano i discorsi in pubblico: tono paternalistico (possiamo solo descrivere i toni… non abbiamo idea di cosa abbiano detto!), volume molto alto, indice continuamente svolazzante in atteggiamento di monito e varie tecniche per imbonire il pubblico, che partecipa talvolta divertito. Una TV nepalese gira un servizio sull’evento!
I ragazzi della scuola hanno avuto poche occasioni per mostrare lo spettacolo che avevano preparato perchè i discorsi sono stati interminabili.
La gente comune è molto riverente verso i politici e l’impressione (ma è solo un’impressione!) è che la distanza tra i politici arrivati in elicottero e la gente del villaggio è molto grande; non a caso quest’ultima è seduta lontano, sul muretto del terrapieno di un edificio e sotto al palco, nella tribuna d’onore, vi sono solo gli italiani che, dopo poche ore, abbandonano il campo per sopravvenuta acufene indotta dal volume delle casse posizionate proprio sopra le loro teste.
Il momento più commovente: quando, dopo aver regalato alcune magliette a dei bambini, ci salutano dicendoci ”Namastè” ma la nonna, un’anziana rugusa signora poveramente vestita li sgrida severamente e gli fa ripetere il saluto dicendoci ”Namaskar”. Gentile signora, la ringraziamo ma non siamo delle alte autorità a cui si deve dire ”Namaskar”; siamo semplici e confusi italiani arrivati in un villaggio fantastico fuori dal tempo senza riuscire a capire come lei e i suoi nipoti possiate vivere ancora lì: le autorità siete voi! ”Namaskar” a voi.
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