Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa poesia di Tanne Durante. L'apatia va combattuta, non si può vivere in apnea...

Sento il fragore del mare
che lambisce le sponde.
E' lo stesso mare che unisce ogni terra.
Instancabile l'onda s'infrange sugli scogli.
Dice: l'impeto è nel vento turbinoso.
Dice: lo schianto non fa paura.
I flutti sulla battigia,
anche i più energici,
si rompono e si ricompongono.
Dicono: a volte si rallenta, a volte si accelera.
Bisogna dare un senso
a questo fermento imperituro?
Oppure semplicemente osservare.
Guardare di là e di qua i due litorali.
Capire le differenze.
Ma quali differenze?
Se le acque sono in movimento continuo
è perché a molti ancora manca
di potersi cullare nel dolce dondolio del mondo.
Questa è l'unica differenza: c'è di qua chi ha tutto e troppo.
C'è di là chi non ha alcunché.

Spesso sui barconi
con cui salpa la fiducia
s'imbarcano pure l'asfissia e la malvagità.
Riempiono ogni centimetro,
si fan largo nei polmoni al posto dell'ossigeno,
marciano su membra
malmenate, stuprate, insultate
tra corpi stipati nella stiva e in coperta.
Scacciano la speranza
e uccidono tutti.
Così si affonda.
Così si annega.
Così si finisce in pasto ai pesci.
E giù sul fondo, a chi,
se nessuno più respira (la trachea, i bronchi, il naso, le orecchie
lo stomaco pieni di acqua salmastra, di tutta l'acqua del Mediterraneo),
a chi, se nessuno più parla e ascolta (la bocca spalancata
ad inghiottire spiaggia e alghe e onde e mare, tutto il mare
dentro le pancia)
a chi, ancora, le onde che vanno e che vengono
vogliono insegnare a non mollare mai?
Noi, in salvo, dalla terraferma vediamo
affogare centinaia di donne e uomini,
di bambini. Ma la nostra vita
non impara nulla dalla loro morte.
La nostra vela non si gonfia
e noi non remiamo.
Impietriti, come faraglioni isolati
su cui si abbattono i cavalloni,
scivolano via le nostre dalle loro mani.
Scivola via il loro essere e il nostro, nell'apatia generale.

Noi non rispondiamo
alle voci che gridano aiuto.
Chudiamo le palpebre agli occhi umidi
che avevano implorato
quella nostra pietà che li avrebbe salvati,
se solo noi ne avessimo avuta.
Che ci salverebbe, se solo la trovassimo,
nascosta com'è dall'egoismo.
Noi non prestiamo attenzione a ciò che succede
ad un passo dai nostri confini, all'interno dei nostri confini,
o lontano da essi.
Noi sentiamo di massacri e violenze
e nulla ci tange. Solo ne abbiamo terrore.
Ci volgiamo altrove,
incatenati ai nostri macigni,
sul fondale dei nostri oceani di ricchezze,
di sicurezze. Lì,
trascorriamo l'esistenza in apnea,
finchè non soffocheremo allo stesso modo,
perché ci mancherà l'aria.
Noi non abbiamo mai sciolto gli ormeggi.
Non ne abbiamo mai avuto bisogno e nemmeno
ne avremmo il coraggio.
Abbiamo mollato ancor prima di fare un passo e senza motivo,
pigramente, rassegnatamente,
senza neppure aver dato inzio
alla nostra traversata verso una qualche salvezza,
verso la loro o verso la nostra.
Abbiamo mollato, pigramente, rassegnatamente,
senza neppure aver dato inizio
ad una qualche minima azione di soccorso
per non essere trascinati nelle sabbie mobili dell'indifferenza.
Quando iniziaremo a nuotare?
Quando?
Buon anno 2016 a tutti, nel ricordo di ciò che è stato brutto, perché lo sia sempre meno...
Tanne Durante